ENNIO FINZI
ENNIO FINZI: IL COLORE, L'ORNAMENTO, ALTRO
Dino Marangon
Vi sono artisti che seguono passo passo il proprio tempo, altri che sembrano ignorarlo.
Finzi, da sempre, vive, spesso oppositivamente, la propria con temporaneità come continuo impulso e stimolo ad una sempre nuova, diversa eppure coerente creatività ricca di interne relazioni, riferimenti e dinamizzanti dialettiche a cui è forse necessario almeno accennare per meglio comprendere gli esiti più recenti,
In primo luogo occorre rilevare come, pur attento, fin dai primissimi anni' 50, alla diffusione delle varie poetiche informalistiche, ma altresì attratto anche dalla cancellazione di ogni presupposta gerarchia preannunciata in campo musicale dall'atonalismo di Schoemberg e in generale della cosiddetta Scuola di Vienna, Finzi abbia ben presto mostrato di porre a fondamento della propria pittura una irrinunciabile concezione del colore: eideticamente inteso ben oltre i confini di ogni mera materialità, nella sua sostanziale molteplicità insieme come "apparenza essenziale" ed orizzonte dj ogni possibile rapporto con il reale.
È su tali basi che, oltre ogni dinamico automatismo gestuale ed al di là di ogni apparente immediatezza delle rapide e trascorrenti traiettorie, delle elettrizzanti vibrazioni e delle deflagrazioni di luce che, in un forte ed accentuato timbrismo per quasi due lustri, verranno costituendo, non senza significative assonanze anche con alcune delle più avanzate tematiche spazialiste, una originalissima esplicazione delle molteplici fenomenologie del segno colore, l'opera di Finzi verrà celando in sé una inedita "durata", estensione e universalità di significati che, nella razionale esplorazione delle progressive gradazioni dello spettro cromatico già preannunciano ulteriori rilevanti sviluppi.
Infatti tralasciato ogni parossismo soggettivistico, già verso la fine del decennio, Finzi verrà sperimentando una più rigorosa strutturazione visuale per molti aspetti analoga alle molteplici ricerche di matrice gestaltica che andavano allora sviluppandosi anche in Italia. Tuttavia, pur operando una significativa spersonalizzazione e verifica, sino ai limiti della percettibilità cromatica e luminosa delle diversificate possibilità di strutturazione dell'immagine pervenendo, tramite una via via sempre più accentuata "smaterializzazione colorica", ad una decostruzione delle traiettorie lineari dei "magnetismi" di espansione energetica, ora solo essenzialmente allusi tramite una oculata dislocazione in reticoli o in segmenti di emissione otticovibratoria di pulviscolari onde di colore-luce dotate di una sottile virtualità espansiva e radiante, Finzi non mirerà né a « ... determinare condizioni retiniche irrecettive» o allusivamente ambigue, né a « ... istigare perturbazioni psicologiche»! tipiche invece non solo di molte delle indagini cineticovisuali, ma anche dell'allora dilagante "consumismo" Op di origine nordamericana, né d'altronde, più in generale egli si mostrerà disposto ad accettare, secondo i postulati analitico-operativi, che la creatività artistica potesse «limitarsi alla dimostrazione di un metodo», o «alle applicazioni di una teoria, seppure validamente formulata ... »2, ma manterrà sempre viva una costante aspirazione ad una universale e ricca idealità dell'opera, sempre sorretta, nonostante la talora fortissima ascesi espressiva, da una vivace indipendenza immaginativa rispetto alle unità percettive tematizzate. Investigate fino alle estreme conseguenze dell'acromatismo o dell'interferenza aleatoria le più ampie estensioni dell'irraggiamento cromatico, agli inizi degli anni '80 la ricerca di Finzi sembrerà comunque pervenire ad una vera e propria svolta.
Se infatti, pur nella ferma irriducibilità ed indipendenza dei significati e delle forme, sia nel periodo di maggior soggettività espressiva che successivamente all'epoca del maggior approfondimento percettivo, Finzi si era mostrato significativamente affascinato dai nuovi "mondi" consentiti dall'imporsi delle moderne epistemologie scientifiche e in particolare dapprima dalle nuove visioni cosmologiche e dalle immani energie scatenate dalla fisica atomica e quindi anche dalle nuove condizioni di visione rese possibili dalla fredda artificialità delle luci al neon e dall'immaterialità delle sofisticate tecnologie laser (con le quali, pur non superando mai nella pratica « ... la soglia della pittura ... »3, l'artista immaginerà di progettare inedite composizioni luminose nello spazio) ora, la pittura sembra porsi nella sua piena autonomia come il luogo immaginativamente più avanzato di ogni complessa e molteplice "progettualità" esistenziale.
L'abbandono di ogni aprioristico "rigore costruttivo"4, porterà quindi Finzi a dar vita, fin dall'inizio del nuovo decennio, in una singolare compresenza ed ibridazione delle svariate modalità espressive via via elaborate nel corso della sua ormai lunga carriera, ad una assolutamente inedita artificialissima, imprevedibile inventività "astrattamente" naturale, caratterizzata da una singolare mutevolezza di ductus e arricchita da caleidoscopiche "fioriture" di colori e da continue variazioni degli andamenti compositivi, in una profusione immaginativa ed in una nuova, felice, estroversione pittorica, tali da promuovere, unitamente ad un ampliamento e ad un progressivo affinamento delle tematiche affrontate, l'apertura e l'accelerazione di un ampio movimento dialettico interno alle vaste oscillazioni della sua sorgiva creatività.
Ecco infatti, quasi a contraddire l'esuberanza della fantasmagoria cromatica sopra accennata, farsi strada una rinnovata esigenza di concisione, di rigore, di purezza e di rarefazione, perseguita fino alle più estreme conseguenze, fino all'ascesi dell'esplorazione del "non colore", delle insondabili e misteriose profondità del nero, dove l'occhio e la mente del pittore sanno tuttavia scoprire « ... un'infinità di varianti possibili, dall' opacità allo splendore, dall'immobilità al movimento, dal segno che partisce la superficie alla sua negazione, dalla presenza all'improvvisa disparazione delle diverse qualità della "texture", all'emergenza lenta dello spazio esteso, inerte, informe e infinito»5 dove le improvvise e flagranti o più spesso rare, mete ori che o marginali apparizioni o "sintomi" dell'iride cromatica sembrano « ... soltanto nuovi "indizi", scie di mondi prossimi o di altri già scomparsi ... »6, echi di certezze inattingibili, oppure, almeno in tal une opere (sovente anche di notevoli dimensioni) paiono assumere l'aspetto della traccia, del richiamo ad un insopprimibile palpito del vitale, forse appena alluso anche dagli impercettibili e "spettrali" andamenti in cui verrà talora modulandosi l'immensa neritudine della superficie. Elementi e significati che, con un caratteristico moto della creatività finziana, troveranno una diversa formulazione anche nel ciclo immediatamente successivo, significativamente denominato Verso il rosa, nel quale ad una più rigida e geometrizzante definizione dei piani farà riscontro l'autonomo sovrapporsi sul fondo tenebroso di morbidi e soffici strati di materia-colore: quasi una luminosa epidermide che nella sensibilità e nella delicata porosità della superficie sembrerà persino alludere alle segrete, impalpabili suggestioni di un sottile, raffinatissimo erotismo, sintomo forse di una rinnovata e via via sempre più vasta attenzione alla multiforme eventicità della sensibile emozionalità della realtà umana che troverà felice testimonianza anche in un ulteriore gruppo di opere particolarmente complesse, ricche di significati e contraddistinte tra l'altro da una gradazione cromatica per certi aspetti inedita per Finzi. Rispetto all' apodittica, notturna perentorietà dei Neri, cominciano infatti a farsi strada le più intime e familiari penombre, crepuscolari o mattinali, delle eleganti, misuratissime gamme delle terre, sapientemente addensate o rarefatte in continue fasce verticali parallele di differente ampiezza e sviluppo, fino a far trasparire la trama della tela, dando vita ad armoniche tessiture tonali su cui si accampano ritmicamente le uniformi squillanti "tarsie" timbriche dei verdi, dei rosa, dei gialli, questi ultimi talora volti anche, sottolineando il massimo contrasto luminoso, a racchiudere ed evidenziare in sottili volute, memori forse dell'organico sintetismo matissiano, i residui tasselli neri, formando così come delle "cifre", delle "sigle" pittoriche di un possibile, eidetico "alfabeto". Proprio nella sempre varia dialettica dei loro molteplici elementi, nell'esplicare cioè, superato ogni schematico razionalismo modernistico, una multiforme interna "funzionalità" non aprioristicamente deduci bile, tali dipinti sembrano altresì riproporre anche delle originali valenze ornamentali, intese non come un'aggiunta epidermica o facoltativa, come qualcosa di accessorio, di eccedente o di esterno alla struttura del quadro, bensì come sintomi e componenti costitutive di un diverso modo di concepire l'opera d'arte.
Superata infatti ogni condanna dell'ornamento come "crimine" in quanto basata su motivazioni eteronome, non inerenti cioè al linguaggio o all'espressione artistica, proprio sulla base dell'acquisita consapevolezza dell'improponibilità di ogni presupposta gerarchia "metafisica" e della conseguente impossibilità di pervenire ad un "grado zero" ad una strutturalità e funzionalità "pura"7, tenuto conto anche delle mutate condizioni sociali e produttive del mondo contemporaneo, Finzi sembra infatti autonomamente indirizzarsi ad una nuova concezione del quadro non più inteso come entità "trascendente", in sé conclusa, "museificata" e quasi isolata dagli scopi, dalle fenomenologie e dalle motivazioni dell'esistenza umana e capace quindi di suscitare solo una fruizione puramente estatico-contemplativa, entusiasmante e catturante, bensì in grado di instaurare oltre ogni immediatezza informalistica, un rapporto più comune e "quotidiano" con l'ambiente abituale della vita.
In questo orizzonte, la molteplicità, la varietà, il dolce "trasalimento" dell'ornamento non si qualificano solo quali antidoti contro l'omologazione e l'unidimensionalità dell'uomo moderno, ma, nella propria generosa "gratuità", sembrano apparentarsi alla stessa "linea nomade della vita" che, non demandando ad altro l'istituzione del proprio senso, ma divenendo essa stessa il discrimine tra senso e non senso, appare come quella linea che, in uno spazio senza gerarchizzazioni esteriori, « ... non va più da un punto all'altro, ma passa "liberamente" fra i punti»8
Comunque per Finzi non si tratta né di porre in atto dei complessi e criptici simbolismi, né di rifarsi a degli stilemi o a dei modelli ornamentali empateticamente collaudati ed interiorizzati, né tantomeno di intendere l' ornamentazione come un "redesign" o uno styling capace di caricare di un minimo di "fantasia" gli oggetti comuni, sperperando le proprie qualità creative nella banale e sovrabbondante piacevolezza di un estetismo diffuso. Pur postulando una più ampia e armonica fruizione dei frutti della propria più distesa ed accessibile creatività, egli infatti, oltrepassando ogni agnosticismo, non solo respinge l'idea di un mero adeguamento dell'opera all'ambiente circostante, ma viceversa, sulla base di una inestricabile sintesi di conoscenza e di immaginazione, ritiene che, ordinandosi a contatto con la pur "discreta" eccedenza ed "inauguralità" dell'ornamento, sia proprio tale ambiente a poter' 'migliorare", fino al punto che, con sedimentata saggezza, in esso divenga finalmente piacevole esistere.
Un'aspirazione ad una ininterrotta "purificazione" estetica dell'usuale, del quotidiano, del "prossimo" , che Finzi saprà ulteriormente approfondire anche in una significativa serie di articolate Sequenze bilaterali e autoportanti, che, pur svincolandosi dalla convenzionale bidimensionalità e dalla tradizionale collocazione "a parete", per di spiegarsi liberamente nello spazio tridimensionale, intendono non tanto far propri i caratteri volumetrici della scultura, quanto piuttosto dischiudere uno spazio attorno a sè, un'apertura, una libera estensione che, negando sia ogni astratta, uniforme ed equivalente spazialità scientificotecnologica9 che ogni muta assuefazione abitudinaria, sappia dar vita ad uno spazio vitale, ad una sempre nuova, intensa e sensibile dimensione dell'abitare.
Sarà proprio quest'apertura di spazio, questa traccia di libertà a trovare una significativa effusione nelle più recenti opere di Finzi nelle quali grandi zone di colore denso e compatto si alternano ad ampie fasce dinamizzate e come direzionate all'estremità da vibranti, anche se semplici e raccolte concrezioni segniche, o a larghi, leggerissimi piani cromatici limpidi e trasparenti che - in un sottile moto espansivo che, con i mezzi di una sapientissima semplicità, pare superare ogni rigida delimitazione ed ogni empirica bidimensionalità sembrano librarsi con libera, ma equilibrata composizione, nell'immenso biancore, continuo ed immacolato della tela.
In tali opere il pittore non solo sembra risalire alle fonti stesse dell'astrazione contemporanea, rammemorando autonomamente sia la suprema originarietà formativa della pura sensibilità manifestata da Malevic che le profonde esigenze di chiarezza, d'ordine e di superamento dell'accidentalità avanzate da Mondrian e dai Neoplastici, ma pare altresì sospendere e superare ogni aprioristica e perentoria istituzione di strutture "ermeticamente" presupposte e immodificabili, ponendo in atto un nuovo rapporto tra il puro darsi del colore e la infinita virtualità della libera vastità della tela, nell'orizzonte di una pittura che non accetta di ridursi alla propria mera evidenza fattuale, ma con la freschezza dello sbocciare dell'apparire si pone come libera e felice apertura all'eventicità del reale, al sempre nuovo, all'altro.
La pittura di Finzi pare così, per certi aspetti, attingere persino ad una laica ed immanente dimensione del Sacro - (una dimensione peraltro affiorante anche in alcuni altri notevoli esiti della sua produzione: basti pensare agli splendidi "monocromi" della fine degli anni '50).
Ora, lontano da ogni sistematizzazione totalizzante, contro il rischio di ogni appiattimento e chiusura, l'immagine sembra infatti mettere a tema la stessa universalità del mistero dell'esistenza.
Un mistero continuamente interrogato ed indagato con il desiderio e l'aspirazione di eliminarlo, cancellarlo, ridurlo, riportarlo docilmente entro le griglie e i reticoli della conoscenza, ed insieme, di salvaguardarlo, di tienerlo fermo ed in sé sicuro, quale fonte di ulteriori possibili sviluppi, unico fondamento dell' eventualità e dell' attendibilità del nostro sentire e comprendere.
Superato così ogni possibile horror vacui, inteso sia come timore degli spazi aperti, immediatamente sentiti come indomabili e quindi pericolosi per l'insopprimibile volontà di potenza dell'uomo tecnologico, che, al contrario, come paura di smarrirsi e di "ottundersi" nel perfettamente e "scientificamente" noto, le più recenti opere di Finzi proprio in quanto paiono lucidamente suscitare con ciò che appare l'attenzione per lo "sfondo", per ciò che non è ancora tematizzato, ciò che non è ancora visibile, sembrano "ossimoricamente" configurarsi con grande chiarezza e serenità, quali umanissime, luminose "definizioni" dell'ineffabilità della libertà.
1) Da C. BELLOLI, 30 Situazioni transcromatiche: Ennio Finzi, presentazione nel catalogo della Personale presso la Falleria Falchi, Milano, 28 febbraio 1972.
2) Da Intervista sulla Mostra. Colloquio fra Toni Toniato e Ennio Finzi, nel catalogo della Mostra Antologica presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, 25 ottobre-12 novembre 1980.
3) Vedi T. TONIATO, Parabole del Colore, nel catalogo della Mostra Ennio Finzi - 42 opere inedite 1950-1955, Verona, Palazzo Forti, 14 marzo-16 maggio 1987, p. 26.
4) Vedi C. BELLOLI, Le problematiche dell'inoggettività cromoplastica in Italia, oggi: prospettive future, in AA. VV., Arte costruita: incidenza italiana, Milano 1989, p. lO.
5) Da G. MAZZARIOL, Presentazione alla Personale di Ennio Finzi alla Galleria Il Traghetto, Venezia, agostosettembre 1986.
6) Da T. TONIA TO, Presentazione alla Personale di Ennio Finzi alla Galleria Il Traghetto, Venezia, agostosettembre 1986.
7) Come ha acutamente avuto modo di osservare Maurizio Ferraris, dal punto di vista dell'analisi linguistica e in particolare nell'ambito dello studio della retorica « ... pare impossibile trovare un discorso che non sia marcato retoricamente, cioè ornato.» Infatti « ... il discrimine tra ornamento e funzione (proprio, grado zero) non è ovvio: anzi non è propriamente riconoscibile. L'ambizione di Loos - trovare funzioni distinte dal 'décor' - risulta» così «sempre meno attuabile .... Nella prospettiva retorica infatti il disadorno o non è riconoscibile (impossibilità di trovare il grado zero), oppure è un effetto dell'ornamento, cioè di una scelta linguistica consapevole». (Da M. FERRARIS, Metafora, proprio, figurato. Da Loos a Derrida, in "Rivista di estetica", anno XXII, n° 12, Torino, 1982, pp. 62-63).
D'altronde, fin dagli inizi è presente in Finzi la coscienza che non esiste immagine senza colore: questo infatti non può essere considerato "ornamento" di una struttura asettica o puramente funzionale, o, dal punto di vista del significato, una metafora di un contenuto esterno o intercambiabile.
8) Vedi G. DELEUZE, F. GUATTARI, Mille Plateaux, Paris, 1980, p. 621.
9) «L'arte e la tecnica scientifica», ha affermato Heidegger, «considerano ed elaborano lo spazio con intendimenti diversi ed in modo diverso.»
L'arte ha infatti osservato il filosofo, non può considerare lo spazio come « ... quella estensione uniforme, di cui nessun luogo ha caretteristiche particolari, equivalente in ogni direzione e tuttavia non percepibile mediante i sensi ... » la quale « ... ha ricevuta la sua prima determinazione da Galilei e da Newton ... ».
(Da M. HEIDEGGER, L'arte e lo spazio, 1969 - trad. it., II ed., Genova, 1984, p. 19).
ENNIO FINZI: DALLA PITTURA ALLA PITTURA
Enzo Di Martino
Vi sono eventi visivi che dichiarano immediatamente la loro identità senza dover fare ricorso alla narrazione o alla rappresentazione di a1cunché. È il caso dei dipinti di Ennio Finzi che affidano infatti la loro probabilità esistenziale alle sole possibilità evocative e memorative del colore.
In realtà il discorso, nel caso dell'artista veneziano, è assai più complesso, perché il terreno di affioramento della sua proposizione immaginativa risiede in quello che Mondrian chiamava un noncolore, e cioè il nero.
E tuttavia se dovessi citare una "lezione storica" del secolo alla quale riferire il lavoro di Finzi non potrei pensare ad altro che alla "neoplastica" di De Stijl.
Perché, a ben riflettere, anche Finzi costruisce con il nero lo "spazio", il luogo vale a dire degli accadimenti emotivi e della pittura, l'area significante nella quale l'artista gioca la sua partita espressiva. E d'altra parte la struttura segreta che sottende le immagini di Finzi ha a che fare con la matematica (il principio) piuttosto che con la geometria (il modulo), e un processo ideativo che, nonostante le apparenze, è dotato di una forte tensione dinamica.
Le stesse linee che a volte delimitano sulla superficie della tela porzioni di spazio, configurano in realtà una sorta di telaio immaginario che ha la semplice funzione di attivare e precisare rapporti altrimenti indeterminati e fuggevoli.
È su tali rapporti, spesso del nero con il nero, dello spazio con lo spazio, che Finzi costruisce la sua "visione del mondo" , a volte lacerandola con improvvisi squarci di colore, altre volte illuminandola di una luce interna e misteriosa.
L'operazione si manifesta nel segno della pittura, nelle vesti, voglio dire, di un linguaggio dell'anima e dell'invisibile che sembra possedere una sorta di indicibile autosufficienza.
Un linguaggio che propone semplicemente se stesso e che osa sfidare la luce e il colore, per certi versi perfino indifferente alla comunicazione, che risponde soltanto a proprie regole interne.
Non esiste dunque una "lettura" dell' opera di Ennio Finzi ma, semmai, la semplice "contemplazione" di un evento che reclama il solo diritto all'apparizione.
Si tratta dunque di un percorso espressivo ellittico, concluso in se stesso, che, si potrebbe dire, parte dalla pittura e giunge alla pittura.
Ecco perché la proposizione immaginativa di Ennio Finzi appare ferma ed in realtà non si sa dove conduce ed approda in definitiva a molteplici derive. Configura in effetti un grande interrogativo senza risposta perché concernente la sfera metafisica dello stesso artista e dei riguardanti. Conta allora rimarcare, come avrebbe detto un "grande vecchio" della pittura, soltanto la sua "inevitabilità", quel suo manifestarsi fuori delle regole, quasi sorprendentemente, C0me avviene sempre nella rassicurante turbolenza della poesia.